Quanto spesso ci è successo di domandarci se una certa cosa, una certa situazione, o ancora, un momento particolare della nostra vita dovesse essere accettato o cambiato? Forse migliaia di volte. E in fondo la nostra vita, quella che abbiamo, è il risultato delle risposte che abbiamo dato in quel particolare momento; forse ce ne siamo pentiti, forse oggi agiremmo in modo diverso ma il passato è un luogo non più abitabile mentre il futuro non lo è ancora. Il passato lo possiamo ricordare, spesso in maniera non realistica e vera, ma non modificare; il futuro ce lo possiamo forse prefigurare ma sarà in genere diverso dalle nostre aspettative… ma questo è un altro discorso.
Allora cambiamento o accettazione? Domanda difficile, a cui è sconsigliabile cercare risposta negli altri: “Non datemi consigli, so sbagliare da solo” diceva un saggio. Perché le ragioni dell’ineluttabilità e della trasformazione stanno solo ed esclusivamente dentro di noi.
Spesso pensiamo che il cambiamento sia appannaggio dei giovani, di chi ha ancora tanto tempo davanti. E in genere siamo convinti che i cambiamenti siano delle tempeste capaci di “scatafasciare” il mondo, esperienze in grado di far cambiare rotta alla barca della nostra vita in modo significativo. E contemporaneamente pensiamo che l’accettazione sia in genere una strategia di retroguardia; quella che applichiamo quando non abbiamo le energie per operare un cambiamento. Ora è indubbio ed evidente che i cambiamenti sono tanto più significativi quanto più precocemente avvengono nella nostra vita. Pensiamo al cambio di facoltà di uno studente che si trova alle porte della laurea in Medicina e che più o meno improvvisamente si rende contro che la vita che lo aspetta non risponde più alle sue esigenze e si iscrive ad Architettura perché ha riscoperto una vena artistica. E’ vero, dunque, che l’impatto di un cambiamento sarà tanto maggiore quanto maggiore sarà il tempo in cui questo potrà far sentire i suoi effetti e maggiore saranno gli ambiti in cui questi andranno a incidere. Ma i cambiamenti possono essere significativi anche quando avvengono in “territori” apparentemente marginali o forse quando l’orizzonte della nostra vita è, biologicamente, piuttosto ristretto.
Voglio raccontarvi una storia vera, quella di Maria.
Maria 72 anni, paziente oncologica, partecipava l’anno scorso a un mio corso di MBSR insieme al marito Luigi di 79 anni, anch’egli pazienti oncologico. Luigi e Maria, erano in trattamento chemioterapico per la loro patologia e, nonostante anche alcune difficoltà motorie legate all’età e alle terapie, hanno partecipato con grande intensità alle varie attività del corso. Alla fine del corso è normalmente prevista una sessione in cui i vari partecipanti condividono “cosa ci portiamo a casa”, vale a dire cosa ognuno dei corsisti ha “scoperto” su di sé, sulle propria condizione psicologica e sulle cause delle proprie reattività e sofferenze. Quando è stato il suo turno, Maria ha detto: “Sono molto dispiaciuta di non aver fatto prima un corso di questo genere” e alla domanda sul perché di questa affermazione affermava “Io ho accettato di lasciare il lavoro, che amavo, a 50 anni per stare di più in famiglia. Allo stesso modo ho accettato di fare delle cose che non amavo fare come lavare i piatti. Dopo il 3° incontro, ho deciso che ne avevo abbastanza e che non avrei mai più lavato i piatti, una cosa che ho sempre detestato. Sono andata al mercato e ho comprato un paio di guanti di gomma. Tornata a casa li ho dati a mio marito dicendogli da oggi i piatti li lavi tu.” Durante il racconto, il marito sorrideva in qualche modo compiaciuto dei cambiamenti operati dalla moglie. La cosa interessante è che sul profilo Facebook di Maria continuano a comparire nuove foto di viaggio: Parigi, Vienna, Barcellona. Evidentemente Maria non solo non lava più i piatti, ma ha cominciato a viaggiare, cosa che diceva una volta amava fare. Questo è un altro aspetto: impercettibilmente i cambiamenti in un ambito finiscono per riverberare anche in altri aspetti della nostra vita. Siamo infatti fondamentalmente dei vasi comunicanti: un cambiamento di scenario, per quanto limitato, ne comporterà anche in altri campi. Ovvero come passare dal non lavare i piatti a viaggiare.
E’ vero, d’altra parte, che l’accettazione va considerata come una delle possibilità con pari dignità rispetto al cambiamento, non necessariamente come una strategia minore. Anzi, a volte anche l’accettazione può essere “rivoluzionaria” ed essere addirittura più significativa.
Spesso usiamo i termini di tolleranza, rassegnazione e accettazione come sinonimi; in sostanza, nel comune parlare, tutti questi termini indicherebbero l’atteggiamento psicologico di che vede una situazione, una realtà negativa e decide, quali che siano i motivi, di non intervenire. In effetti esistono delle sfumature non secondarie in questi termini. Nei primi due è sottintesa una certa passività: “le cose stanno così, cosa ci vuoi fare, non si può cambiare il mondo, etc etc”. Nel termine di accettazione, viceversa, è presente un atteggiamento attivo. In questa parola, infatti, troviamo il percorso a volte lungo e tortuoso che ci porta a interiorizzare quel particolare fatto o situazione come immodificabile. Quest’ultimo è infatti il discrimine: il verificare che sia realmente impossibile cambiarla
Davanti a qualcosa che percepiamo come doloroso e nello stesso tempo anche definitivo, pensiamo ad esempio ad un lutto, una volta valutato come immodificabile, per andare avanti dobbiamo semplicemente accettare la realtà così com’è. Combattere una realtà immutabile comporta un’inutile e dolorosa perdita di tempo e di energie. Accettare è dunque diverso da rassegnarsi. Accettare vuol dire smettere di combattere e cercare soluzioni che ci permettano di continuare a vivere nel profondo accoglimento di quanto non è modificabile. Accettate la realtà è fare qualcosa di costruttivo per uscire da ciò che ci rende infelici.
Accettazione o cambiamento, dunque?
La risposta è dentro di noi: cambiare quanto può essere cambiato e accettare quanto non lo è. Essere consapevoli della realtà così come è e non come vorremmo che fosse, analisi lucida, seppur profonda, della realtà stessa. Avere consapevolezza delle emozioni provate per le nostre sofferenze e per i nostri fallimenti e delle nostre possibilità che ci concediamo.
Il cambiamento nasce dal riconoscimento della necessità, per noi, di modificare una situazione difficile e, a volte, insostenibile ma modificabile; proprio perché riteniamo ci siano delle alternative percorribili e ci diamo fiducia nel poterle percorrere. Maria non poteva cambiare la sua condizione di paziente oncologica e dunque non c’era altra strada di accettarla ma poteva scegliere di non lavare più i piatti e … cominciare a viaggiare. E l’ha fatto.
Conosco delle barche che si dimenticano di partire… hanno paura del mare a furia di invecchiare. (Jacques Brel, citato da S. Marchetti)
Quando accetto me stesso come sono, solo allora posso cambiare (C. Rogers)
Se ci puoi fare qualcosa perché preoccuparsi? Se non ci puoi fare niente perché preoccuparsi? (Prov. Cinese)