Programma Autunnale di Mindfulness
Ecco le attività previste per quest’autunno: Roma La Comunicazione consapevole (Riservato Dipendenti Save the Children) Roma 27/11 (Colli Portuensi) Percorso
Parlando di stress, non possiamo non soffermarci su quello lavoro correlato ed in particolare sulla sua forma più grave, invalidante e dai maggiori costi sociali rappresentata dal “burn-out” (B). Il B è stato definito come sindrome da stress lavorativo cronico caratterizzata da esaurimento emotivo, depersonalizzazione e ridotta realizzazione personale. Il termine di B, che potremmo tradurre con “scoppiato”, “esaurito” o “bruciato”, è stato usato per la prima volta all’inizio del secolo scorso da Kraepelin che faceva notare come le scarse risorse pubbliche della psichiatria e le condizioni particolari della vita professionale dello psichiatra portavano, come “conseguenza inevitabile, lavoro eccessivo di singoli, piaceri nulli per la professione e il rapido esaurirsi del medico stesso“. Negli anni ’30 nel gergo dell’atletica e di altri sport il termine è stato usato per designare quel fenomeno per cui, dopo alcuni successi, un’atleta “si brucia”, “si esaurisce” non riuscendo più a ripetersi dal punto di vista agonistico. In anni a noi più vicini era stato usato per indicare la condizione psicologica dovuta all’uso cronico e di lunga durata di sostanze stupefacenti. Nel 1960 lo scrittore Graham Green pubblica una novella dal titolo Burnt-out case storia di un architetto diventato cinico e demotivato nel suo lavoro descrivendo benissimo la sintomatologia descritta da Christine Maslach nel personale di assistenza.
Dobbiamo, infatti , a lei e collaboratori dell’Università della California la moderna e completa sistematizzazione di questa sindrome nei suoi 3 principali aspetti: l’esaurimento emotivo, la depersonalizzazione e la ridotta realizzazione personale. Torneremo più avanti nel dettaglio di questi aspetti.
Sicuramente perché il fenomeno è drammaticamente in aumento, tanto da essere definito una vera e propria epidemia, sia nel senso del numero delle persone coinvolte sia in quello della gravità degli effetti a livello personale e sociale.
Basterebbe citare il numero, certamente per difetto, dei contributi ad oggi pubblicati: oltre 250.000 tra libri, articoli, tesi di laurea, leggi e documenti di organizzazioni nazionali ed internazionali.
L’entità e la frequenza del fenomeno si presentano diverse nei vari ambiti lavorativi e nei vari paesi perché diverse sono le condizioni e diversi gli strumenti usati per identificare i soggetti affetti da questa patologia. Esistono infatti delle difficoltà nel determinare incidenza e prevalenza del B dovute ad una serie di fattori:
Così è facile riscontrare differenza anche significative. Karuna e coll. in uno studio effettuato su 22177 medici di 29 paesi pubblicato nel 2022 hanno registrato una prevalenza variabile dal 6% al 35%. In Austria l’incidenza del B nei medici è stimata in oltre il 50%. Nel 2022 Hiver e coll. hanno riscontrato una incidenza nei medici europei che variava dal 2.5% al 72% . La percentuale dei medici che presentava uno dei 3 sintomi della sindrome era del 43%, 2 sintomi 19.7% e 3 sintomi il 7.7%.
A parte queste differenze quello che è certo è che i costi personali e quelli aziendali sono altissimi. Shanafeld e coll (2009) in una ricerca su 7905 chirurghi americani hanno dimostrato che gli errori in sala operatoria sono direttamente correlati al grado di B più che alle ore lavorate e alla stanchezza. Le Gall e coll (2011) circa il 50 % dei medici che operano nelle terapie intensive ed il 30 % degli infermieri sono affetti da B. Rosenstein e coll (2011) 87% su un campione di oltre 2000 medici presentava stress e B da severo a grave, ed il 63% si sentiva peggio rispetto a 3 anni prima. Questo solo per citare alcuni studi. È evidente che una tale situazione non può non avere ricadute importanti sulla condizione personale, sul grado di soddisfazione dei pazienti e sulla qualità delle prestazioni sanitarie erogate. Basterebbe a questo proposito citare lo studio condotto da Al-Ghunaim su 27148 medici e pubblicato nel 2022: la presenza del B nei chirurghi fa aumentare del 250% gli errori in sala operatoria.
Parlando di stress, non possiamo non soffermarci su quello lavoro correlato ed in particolare sulla sua forma più grave, invalidante e dai maggiori costi sociali rappresentata dal “burn-out” (B). Il B è stato definito come sindrome da stress lavorativo cronico caratterizzata da esaurimento emotivo, depersonalizzazione e ridotta realizzazione personale. Il termine di B, che potremmo tradurre con “scoppiato”, “esaurito” o “bruciato”, è stato usato per la prima volta all’inizio del secolo scorso da Kraepelin che faceva notare come le scarse risorse pubbliche della psichiatria e le condizioni particolari della vita professionale dello psichiatra portavano, come “conseguenza inevitabile, lavoro eccessivo di singoli, piaceri nulli per la professione e il rapido esaurirsi del medico stesso“. Negli anni ’30 nel gergo dell’atletica e di altri sport il termine è stato usato per designare quel fenomeno per cui, dopo alcuni successi, un’atleta “si brucia”, “si esaurisce” non riuscendo più a ripetersi dal punto di vista agonistico. In anni a noi più vicini era stato usato per indicare la condizione psicologica dovuta all’uso cronico e di lunga durata di sostanze stupefacenti. Nel 1960 lo scrittore Graham Green pubblica una novella dal titolo Burnt-out case storia di un architetto diventato cinico e demotivato nel suo lavoro descrivendo benissimo la sintomatologia descritta da Christine Maslach nel personale di assistenza.
Dobbiamo, infatti , a lei e collaboratori dell’Università della California la moderna e completa sistematizzazione di questa sindrome nei suoi 3 principali aspetti: l’esaurimento emotivo, la depersonalizzazione e la ridotta realizzazione personale. Torneremo più avanti nel dettaglio di questi aspetti.
Sul versante non sanitario, ugualmente, il B si presenta come una condizione capace di determinare, per i motivi su esposti, danni, sia fisici che psichici, ai lavoratori, ai quadri intermedi ed anche ai quadri dirigenziali. Nello stesso tempo tale condizione, evidentemente, impatta in modo negativo sulla qualità dei prodotti, sulla soddisfazione del cliente, sul tasso di turnover, di giornate lavorative perse per malattia, etc. A questo proposito, ricordiamo che l’Italia con il D.lgs. 81/2008 ha ottemperato, dopo procedura di infrazione da parte della Comunità Europea, all’accordo europeo del 8/10/2004. Tale d.lgs. ha specificatamente individuato che il rischio da lavoro-correlato deve essere oggetto di valutazione e di gestione al pari di tutti gli altri rischi presenti sul luogo di lavoro. La Commissione Consultiva permanente per la sicurezza e la salute del lavoro ha emanato, il 17/11/2011 le indicazioni necessarie alla valutazione del rischio stress lavoro-correlato sotto forma di un “percorso metodologico che rappresenta il livello minimo di attuazione dell’obbligo…per tutti i datori di lavoro pubblici e privati” con l’obbligo di valutare il livello dello stress lavoro correlato di tutti i lavoratori. Le organizzazioni, in questo senso, hanno una grande responsabilità. Frequentemente, l’atteggiamento è quello di “eliminare” la persona affetta da B, vista come soggetto che crea “problemi” in ’ambito lavorativo, che spesso si assenta per malattia, il cui lavoro ha una bassa qualità e che non corrisponde alle esigenze dell’utenza, etc. etc. Se la manovra ha successo, tuttavia, da una parte l’organizzazione non avrà rimosso le cause interne di B, magari perdendo un collaboratore affidabile ed esperto che si trova solo ad affrontare un momento di difficoltà; dall’altra il soggetto affetto da B vedrà confermato il suo disvalore nel momento in cui si troverà ad essere allontanato.
La Maslach e collaboratori fanno risalire quest’aumento alle profonde modificazioni intervenute a livello della società in generale e delle organizzazioni produttive in particolare. In pratica non è che il fenomeno sia in aumento per un cambiamento delle persone quanto piuttosto è cambiato l’ambiente lavorativo e le organizzazioni del lavoro. Il motivo, dicono questi autori, va ricercato nello spostamento dalla qualità dei processi produttivi, in cui la figura del lavoratore era essenziale, a una pura logica di budget in cui il collaboratore è importante solo se e nella misura in cui è funzionale al raggiungimento degli obiettivi di bilancio. Tutto questo in uno scenario in cui lo sviluppo tecnologico e l’informatizzazione hanno accentuato il ridursi del ruolo lavorativo e del valore nei processi produttivi del cosiddetto fattore umano. Evidente il sempre maggior valore attribuito alla “tecnica”, ad esempio in medicina, spesso a scapito della qualità della comunicazione tra medico e paziente. Senza volerci addentare in un’analisi sociologica è evidente che in tale scenario le professioni di aiuto risentano di più dell’aumento dei carichi di lavoro, che rappresentano un aspetto importante nella genesi della sindrome, legati alle riduzioni di personale, al blocco del turnover ed a situazioni legate all’ambiente lavorativo visto come poco gratificante. Non deve stupire, dunque, che sostanzialmente tutti gli studi abbiano visto come assistenti sociali, insegnanti, poliziotti, infermieri, medici, psicoterapeuti, psicologi, psichiatri, religiosi, assistenti all’infanzia, operatori dell’igiene mentale, personale di centri di detenzione, magistrati addetti alla libertà vigilata siano i più colpiti.
Svolgono professioni di aiuto in cui il contatto, frequente e intenso, tra operatore e utente caratterizza fortemente il tipo di lavoro svolto. Sono professioni ad alta relazione interpersonale, “high-touch” come sono state definite, in cui si assiste a frequenti e intensi rapporti con le persone che hanno bisogno di un aiuto medico/assistenziale. La cosa interessante da notare è che sempre più professioni sono diventate “high-touch”: manager, industriali, impiegati a cui viene richiesto di lavorare sempre più in gruppo piuttosto che singolarmente ma che non sono stati formati e preparati a questo cambio di scenario.
FATTORI PREDISPONENTI
A questo punto può sorgere spontanea la domanda: “Perché solo un certo numero di persone, per quanto grande, va incontro al B? In altre parole quali sono i fattori che predispongono all’insorgenza della sindrome?” Possiamo citare i principali nei seguenti punti:
Mancanza di controllo del proprio lavoro
Mancanza di riconoscimento e dimensionamento
Elevata “pressione lavorativa“
- Eccessivo carico lavorativo
Tendenza al perfezionismo
Visione pessimistica di sé e del mondo (in genere con bassa autostima)
Incapacità a delegare
Necessità di eccessivo controllo
Eccessivo coinvolgimento nel rapporto con gli altri
Introversione
Prendiamo ora in esame quelli che abbiamo visto essere i tre aspetti fondamentali del B: esaurimento emotivo, depersonalizzazione e ridotto senso di realizzazione personale.
Sono tre aspetti che hanno, in genere, una certa progressione temporale; nel senso che normalmente l’esaurimento emotivo precede gli altri due.
È innegabile, tuttavia, che diverse ricerche abbiano evidenziato come questi aspetti siano a volte non susseguenti uno all’altro. Questo è confermato dall’osservazione che il B sia spesso un mix di questi vari aspetti. Vediamoli in dettaglio.
Quanto citato dalla Maslach a proposito di un’infermiera ci sembra indicativo: «Quando cerco di descrivere ad altri la mia esperienza, uso la metafora della teiera. Come una teiera, ero sul fuoco e l’acqua bolliva; lavoravo sodo per gestire i problemi e fare del mio meglio. Ma dopo vari anni l’acqua era tutta evaporata e tuttavia io ero ancora sul fornello; una teiera bruciata che rischiava di spaccarsi.» (Maslach, 1992) In questa breve descrizione troviamo gli aspetti fondamentali di questa fase: Impegno continuo nel tempo con conseguente esaurimento delle energie a disposizione con la sensazione di non essere più in grado di aiutare gli altri, oltre alla sensazione di essere “bruciato“. È interessante notare l’analogia di questo breve racconto con quanto detto a proposito nella Sindrome generale di adattamento di Seyle a cui rinviamo. Come citato sempre dalla Maslach «Non è che non voglio, non posso, non ce la faccio.» Se queste sono le emozioni presenti non deve stupire che i comportamenti vadano dalla incapacità di collaborare con gli altri operatori all’allontanamento dal “cliente”. Sono frequenti emozioni come la rabbia, la tristezza fino alla depressione. Alcuni di questi atteggiamenti, come la mancanza di diponibilità verso la persona che necessita aiuto o i colleghi, vanno visti come tentativi, peraltro non corretti e inutili, di auto protezione dal contatto che è visto come fonte di frustrazione. La conseguenza sarà un rapporto freddo, privo di empatia e che si limita all’esecuzione spersonalizzata di procedure e compiti. Il soggetto scivola così rapidamente nella fase di spersonalizzazione.
La persona che ha attraversato la fase precedente è facile arrivi ad un atteggiamento estremamente negativo nei confronti delle persone che a lui si rivolgono. I pazienti vengono tutti considerati negativamente, su cui si riversano aspettative negative: “Di certo questo mi denuncia, è un vero rompiscatole. È inutile che faccia qualcosa per lui.” Da qui l’essere sgarbato o non rispondere positivamente alle richieste di aiuto che gli arrivano. A volte questa negatività viene rivolta verso la struttura, verso i colleghi, o addirittura verso se stessi. È frequente possano insorgere sensi di colpa per il proprio atteggiamento che si accompagna, a volte, a sensi di inadeguatezza e di ridotta capacità relazionale. Tutti questi aspetti confluiscono, se di grado importante, nella terza fase, quella della ridotta realizzazione personale.
L’analisi, a volte impietosa e feroce, dei propri atteggiamenti facilmente porta a una ridotta autostima con svalutazione spesso non veritiera delle proprie capacità personali. Ricordo benissimo un mio paziente, chirurgo militare con diverse missioni in teatri di guerra come l’Afghanistan e l’Iraq, capace di eseguire interventi complessi in situazioni drammatiche rifiutarsi di andare in sala operatoria per una semplice appendicite una volta rientrato in Italia. Le sue difficoltà gli avevano fatto “credere” di non valere più nemmeno come chirurgo; negando addirittura quanto fatto in precedenza. Da qui sentimenti d’impotenza, senso d’inadeguatezza e addirittura episodi di depressione maggiore che possono arrivare ad un elevato rischio suicidario. È qui il caso appena di accennare che in una visione idealistica della propria “missione lavorativa” si assisterà ad uno scollamento tra ideale e proprio atteggiamento. Tanto più che le professioni d’aiuto mal valuteranno il bisogno di chiedere a loro volta sostegno, negando anche di fronte a se stessi tale necessità. Come diceva il già citato chirurgo “Ma come, proprio io che dovrei aiutare gli altri mi trovo ad aver bisogno?!?!”. Sono evidenti, in una situazione come quella descritta, i notevoli costi che una persona colpita dal B si trova a dover pagare in termini di benessere personale, di coppia e familiare. Questo tanto più se si considera l’aumento dell’incidenza di tossicodipendenze, alcolismo e tassi di divorzio nelle persone affette da B.
SINTOMI
Questo quadro complesso come si evidenzia nel soggetto affetto da B? Il quadro è estremamente variegato e dipende in buona parte dalla struttura di personalità. Possiamo così sintetizzarli
SINTOMI SOMATICI
SINTOMI PSICOLOGICI
Apatia, difficoltà di concentrazione, Irritabilità, senso di inadeguatezza, senso di colpa e di fallimento, paure eccessive o immotivate
Distacco emotivo, perdita dell’empatia, disinteresse o aggressività nei confronti dell’utenza. pessimismo
Incapacità di gestione dei problemi e delle situazioni affrontate in modo adeguato precedentemente, svalutazione proprio valore professionale, incapacità di scissione tra lavoro, vissuto in modo pervasivo, e propria sfera personale, familiare ecc
Abuso di alcol, psicofarmaci, stupefacenti. Comportamenti antisociali e aggressivi verso gli altri e se stessi con rischio di suicidio.
CENNI DI PREVENZIONE: Come è stato detto, dal B non si guarisce ma si reagisce nel senso che è fondamentale l’onesto riconoscimento della situazione di crisi che si sta vivendo; soprattutto quando si è in una fase avanzata. In questa fase psicoterapia breve ed eventualmente psicofarmaci possono essere d’aiuto. Ci sono tuttavia una serie di misure e di strategie che possono essere messe in atto preventivamente prima che il B si manifesti in modo importante. Come abbiamo visto a proposito dello stress, è fondamentale trovare il sistema per ridurre la valutazione soggettiva dello stressor. In questo senso la Mindfulness si è dimostrata in grado di essere d’aiuto. Nello stesso tempo, dato che molti stressor sono inevitabili, dobbiamo “lavorare” a livello soggettivo aumentare la nostra resistenza allo stressor. Per citarne solo alcuni:
In un’altra sezione analizzeremo l’apporto che la M può avere in termini di prevenzione e riduzione dello stress lavoro correlato.
Ho dedicato la mia vita professionale alla medicina con un profondo impegno verso la mindfulness. Credo fermamente che la consapevolezza del momento presente sia fondamentale non solo per il benessere dei miei pazienti, ma anche per migliorare la qualità delle cure che offro.
Ecco le attività previste per quest’autunno: Roma La Comunicazione consapevole (Riservato Dipendenti Save the Children) Roma 27/11 (Colli Portuensi) Percorso