Alcuni di voi, oltre ad altri amici, mi hanno chiesto cosa ci si dice per un anno nel “Master di Neuroscienze e Meditazione” che si tiene all’Università di Udine. Volendo venir incontro a tale curiosità ho pensato di utilizzare questo blog per darvi un rendiconto, che spero interessante, dei vari contributi che via via verranno dai vari relatori.

Il Master ha la durata di un anno e si svolge in incontri mensili della durata di 3 giorni. Oltre a lezioni frontali ogni giorno ci sono  momenti di meditazione. Ogni incontro approfondisce la relazione tra Mindfulness e vari aspetti del mondo psichico: dalla Psicanalisi agli effetti della Realtà Virtuale, dalla memoria al funzionamento cerebrale, dalla autotrascendenza alla empatia, etc. Il tema della scorsa settimana era Mindfulness (M) e Psicanalisi (P) tenuto dal Dr Graziano Graziani, che ha messo in evidenza alcune similitudini tra questi percorsi.

PSICANALISI E MINDFULNESS

1.)Premesso che Assaggioli e Servadio, due grandi psicanalisti italiani, erano dei mediatori vediamo quali siano le analogie e in parte le differenze tra P e M. Sia la P che la M utilizzano il pensiero spontaneo. La P per far emergere, nel paziente, attraverso le associazioni, i contenuti profondi dell’inconscio; la M osservando lo scorrere dei pensieri, la loro breve durata e le emozioni che si associano ai pensieri stessi. Quest’ultimo aspetto ci fa scoprire quanto  siamo attaccati ai nostri pensieri e come ci sia una inevitabile identificazione con i pensieri stessi. Questo “lavoro” permette alla mente di diventare oggetto di conoscenza e, in un certo senso, di essere contemporaneamente sia soggetto che oggetto dell’osservazione. E’ interessante notare come in tutti e due i casi sia esclusa qualsiasi attività di “controllo”: nella P tutti i pensieri sono leciti e nella M ci si pone in posizione equanime, senza nessuna negazione né attaccamento al contenuto dei pensieri stessi. Se vogliamo cercare una differenza, la P cerca di dipanare i conflitti che emergono attraverso le associazioni, mentre la M, piuttosto, cerca di risolvere la relazione con i pensieri.

2.) Entrambe questi percorsi sono caratterizzate dal richiedere una certa costanza e pazienza. Costanza che si concretizza nella M attraverso l’attività meditativa giornaliera; mentre nella P nello scorrere delle sedute settimanali. Ugualmente la pazienza, in entrambi i casi, è una caratteristica fondante: non dobbiamo aspettarci risultati immediati anche se possono poi esserci.

3.) Questi percorsi sono caratterizzati dalla presenza di altri due aspetti: la particolarità dell’esperienza e la posizione corporea. In entrambi i casi siamo in presenza di attività non abituali nel senso che sia nella P che nella M il rapporto che abbiamo sia con i pensieri sia con il corpo è diverso da quanto si svolge nella vita di tutti i giorni quando, abitualmente, non siamo consapevoli dello scorrere e delle associazioni dei nostri pensieri. Anche la necessità di tenere una posizione particolare è una caratteristica comune. Nella P la posizione è quella “classica” del lettino; nella M, possibilmente, quella seduta a gambe incrociate. La cosa da rimarcare è che entrambe pongono una certa enfasi sulla necessità di osservare le reazioni  che abbiamo alla necessità di tenere una certa posizione.

4.) Uno degli aspetti fondanti della M è quella dell’atteggiamento “non giudicante”. La definizione di M è, infatti,  “Consapevolezza dello svolgersi dell’esperienza nel momento presente in modo non giudicante”. Premesso che questo termine può ingenerare alcuni fraintendimenti, e torneremo più avanti su questo punto, anche la P utilizza l'”accettazione non giudicante” nel senso di non sottoporre a censure i pensieri e le associazioni che via via emergono nel corso delle sedute. In queste, le libere associazioni a volte possono sembrare sconvenienti o volgari o ancora non etiche. In entrambi questi percorsi ci si relaziona con i pensieri come un aspetto della nostra mente senza che ci sia una identificazione con essi: “Io non sono questi pensieri”

5.) Come accennavo prima, il termine “non giudicante” può prestarsi ad una interpretazione fuorviante. Come sostenuto dal Prof Fabbro Direttore del Master sarebbe più corretto sostituirlo con “equanime”. Usare la frase non giudicante potrebbe dare l’impressione che qualunque cosa avvenga ci “stia bene” o sia degna di approvazione, quasi con un atteggiamento lassista. Le cose sono un più sottili. Nei confronti dell’esperienza noi applichiamo una delle tre strategie che possiamo indicare con avversione, sintetizzabile nell’espressione “assolutamente no!, non lo voglio” attaccamento, “assolutamente si!, lo voglio” e ignorare “Non ci pensiamo facciamo finta di niente”. Utilizzare il termine equanime, viceversa, indica piuttosto una posizione equidistante, quella di chi osserva e accetta senza farsi trascinare da nessuno di questi atteggiamenti. Non possiamo e non dobbiamo escludere il giudizio davanti ad avvenimenti drammatici come, ad esempio, il bombardamento su popolazioni inermi. Quello che non deve avvenire, anche se difficile, è il porsi davanti a tali episodi in modo emotivo; che diventa poi un modo molto raffinato per non cambiare le cose.

6.) Dobbiamo a Cartesio la netta separazione tra mente e corpo, tra “res cogitans e “res extensa” che tanti danni ha provocato nella nostra cultura, mettendo in risalto la supremazia della mente sul corpo.Famosa la sua frase “Cogito, ergo sum”.  Le neuroscienze hanno confermato la falsità di questo assunto e la veridicità del fatto che l’Io nasce dal corpo. Come abbiamo già detto nel sito, gli studi di Porges hanno evidenziato che le emozioni nascono nel corpo, ed è il corpo che le comunica alla mente. Noi non piangiamo perché siamo tristi, ma siamo tristi perché piangiamo”.  Secondo le neuroscienze la frase andrebbe corretta in “Sum, ergo cogito”. Va ricordato che uno dei grandi problemi della intelligenza artificiale è che essendo incarnata in una macchina questa non ha corpo. Certo possiamo perfino insegnare ad una macchina cosa è la rabbia o la gioia; il problema è che questa non avendo un corpo non può “sentire” né interpretare gli equivalenti somatici di queste emozioni.

E a proposito di “non giudizio”:

“Se la Mindfulness o il Buddismo diventano un modo per non cambiare lo status quo avranno  completamente fallito ” Bodhi Bikku

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