Paura di … morte, immigrati, violenza, volare, futuro, situazione economica, terrorismo, perdita della posizione raggiunta, sicurezza economica (per chi ce l’ha e per chi non sa se mai l’avrà…), furti con o senza violenza, condizioni meteorologiche avverse con annessi tornado, terremoti, maremoti, fulmini, allagamenti, senza contare serpenti, ragni, squali, pipistrelli, buio, rottura del computer (cosiddetto impallamento…) e della macchina, ascensore rotto, dolore fisico e/o malattie (ovviamente attese quelle più drammatiche e devastanti … ), giudizio altrui e di non essere amati e riconosciuti, traffico. Grandi ed esistenziali paure insieme a piccole e insignificanti. E potrei continuare così per tutte le 1200 parole, circa, di questo post. Ci sono forse tante paure, in genere combinate, quanti sono gli abitanti della terra. L’oggetto di queste paure a volte è giustificato, a volte improbabile , altre infine francamente assurdo. Alcune sono paure sane, altre patologiche.
Ma, cosa è la paura?
La paura è una delle emozioni cosiddette primarie insieme a rabbia, disgusto, gioia, tristezza, sorpresa. Le emozioni primarie sono una caratteristica innata e comune a tutti gli esseri umani e, come anche recenti studi di etologia dimostrano, le condividiamo anche con molti animali pur con alcune importanti differenze. E anche le espressioni corporee, facce tono e volume della voce etc che hanno la capacità di manifestare a chi ci sta intorno l’emozione del momento, sono innate e riconoscibili anche da colture che non sono mai precedentemente venute in contatto con altri esseri umani. L’uomo, in quanto animale sociale, ha mantenuto nei propri geni questa capacità sviluppata nella notte dei tempi, stante la necessità di relazionarsi con i suoi simili. Quelle secondarie, tra cui annoveriamo emozioni come vergogna, colpa, invidia, sono apprese e dipendono, invece, dal contesto e dalla coltura in cui vive il soggetto. Prendiamo la vergogna. Immaginatevi di trovarvi nella metro nudi e senza scarpe… il disagio e la vergogna sarebbero le emozioni prevalenti; ma ci sono migliaia di persone che mentre leggete si trovano in queste stesse condizioni e non si sentono in imbarazzo.
La funzione delle emozioni, primarie e secondarie, è quella di darci informazioni sul “mondo” che ci circonda, condividendole con gli altri, anche e soprattutto, attraverso il linguaggio non verbale, e di rispondere a domande importanti in relazione a quanto percepito: posso essere contento? C’è qualcosa nel mondo che mi stupisce? Questo cibo è buono? Posso stare tranquillo o c’è qualche minaccia? Come abbiamo già visto, la cosa interessante è che le emozioni hanno anche e soprattutto una funzione interna, nel senso che aiutano la nostra mente a capire quanto sta succedendo. Per quanto possa essere paradossale, ma è così, io non piango perché sono triste, ma sono triste perché piango. Detto in altre parole è la percezione corporea che fa provare alla mente l’emozione e non il contrario.
Ma torniamo alla paura. Questa scatta quando si risponde affermativamente alla domanda: c’è qualcosa che mi minaccia? Noi proviamo paura quando la nostra sicurezza è, vero o falso che sia, messa in pericolo. La percezione della minaccia permetterà l’attivazione di una serie meccanismi che predisporranno l’organismo alla risposta ritenuta più adeguata al contesto: combattimento, fuga o, paradossalmente, freezing. In una sezione del sito www.mindfulness-roma.it vedi ho già a lungo esaminato i diversi meccanismi che stanno alla base della risposta del nostro organismo e a questi rimando.
La paura, a ben vedere, è un “salvavita”: ci informa se ci sta venendo addosso un camion, se sto per cadere, se in barca il mare si ingrossa, etc. La paura è fisiologica, il problema è come la nostra mente l’utilizza e di cosa se ne fa della paura.
Il problema, infatti, o la fortuna, è che il nostro ambiente è molto diverso da quello in cui vivevamo centinaia e centinaia di anni fa quando il sistema di cui abbiamo parlato si è perfezionato. Ora, se accoppiamo il meccanismo della paura alle capacità del nostro cervello, è evidente che la nostra capacità di prefigurare il futuro ci può “far vivere” come reali anche le paure apparentemente più assurde. Siamo “programmati” per far fronte alla minaccia alla nostra sicurezza, il problema è che, in genere, solo raramente esiste una minaccia così importante e grave come quella che vivevano i nostri antenati nelle caverne. Noi applichiamo lo stesso schema complesso di risposta sia che ci venga addosso un camion sia che dobbiamo parlare in pubblico.
La nostra capacità di astrazione e di prefigurarci il futuro, dunque, ci fa vivere le paure più assurde come reali. Il futuro che non è evidentemente reale, dato che è costruito dalla mente, è da noi abitato con grande facilità. Futuro che quasi sempre è costruito con associazioni mentali ed emotive che la nostra mente va a recuperare frequentemente nel passato, la cui trama è composta di fantasie, pensieri ed emozioni precoci, che ci tiriamo dietro dall’infanzia e che forse sono state emotivamente negative. A queste si sono piano piano sovrapposte altre esperienze che possono aver confermato emozioni e pensieri disfunzionali. In questo lento sedimentarsi perdiamo consapevolezza di quello che c’è sul fondo della nostra anima. Questo oblio è un meccanismo che se è da una parte protettivo, perché nasconde le nostre “vecchie” minacce, dall’altra ci impedisce di prendere contatto con questa parte sommersa e profonda. Allora la paura cercherà un obiettivo su cui scaricarsi, una scusa per emergere. E saremo ostaggi di questa emozione, senza avere la capacità di superarla, proprio perché negata. La cosa interessante è, dunque, che la paura, soprattutto quella legata a eventi futuri che noi chiamiamo colloquialmente preoccupazione, si riferisce sostanzialmente ad una realtà creata dalla nostra mente che trasporta nel futuro le trame del passato.
Detta così sembra una sentenza, la condanna a vita a non venire a capo delle nostre paure. In effetti se continuiamo a negare e a proteggerci da esse la sentenza verrà eseguita. E le parole che utilizziamo sono del tipo “Non ne voglio parlare”, facendo finta che non esista. Non venire a capo della paura comporta inevitabilmente che i nostri comportamenti saranno sempre più condizionati da quella che è la “nostra” paura. Il nostro comportamento e il nostro atteggiamento nei confronti della vita sarà condizionato da questi paraocchi. Dice Krishnamurti “Conoscete le vostre paure? E in generale che cosa fate? Fuggite da esse, vero? Oppure vi inventate idee e immagini per coprirle? Però fuggire dalla paura la fa solo aumentare.” La ricetta è dunque quella di guardare in faccia la nostra paura, direi quasi abbracciandola, farla nostra, riconoscerla. Abbracciare e incontrare la nostra Ombra, come la chiama Jung, vuol dire incontrare quegli aspetti della nostra personalità nascosti relativi a colpe, vergogne, autosvalutazione, infantilismi, aspetti che generalmente si tende a proiettare su altre persone. “Soltanto là si possono trovare tutte quelle contraddizioni, quei grotteschi fantasmi e quei simboli osceni che avevano affascinato lo spirito dell’alchimia, fonti di turbamento e al tempo stesso di illuminazione. E allo psicologo si pose lo stesso problema che già aveva assillato gli alchimisti per millesettecento anni: che fare di tali forze antagoniste? È possibile rifiutarle e sbarazzarsi di loro? Oppure occorre riconoscerne l’esistenza ed è nostro compito portarle ad armonizzarsi, cercando di realizzare un’unità”. (Jung)
Nel prossimo post vedremo come tutto questo ci riguardi molto, molto da vicino.
“Un giorno la paura bussò alla porta e il coraggio andò ad aprire: non c’era nessuno” (Martin L. King)