Alcuni giorni fa, per una serie di associazioni mentali, mi è venuta alla memoria una famosa favola: il Pifferaio di Hamelin. Ora le favole, come tutti sappiamo, sono delle metafore che raccontano, sotto forma di storie, temi che riguarda la nostra via: la lotta tra il bene e il male, il senso di quanto ci capita nella vita, il cambiamento e la trasformazione, etc. Il termine favola, nell’accezione comune del linguaggio, però, ha frequentemente una connotazione negativa di cosa non vera o esagerata; troviamo questa accezione in affermazioni come “vivere nel mondo delle favole” o “non raccontiamoci favole” etc. Troviamo le fiabe, sotto diverse forme, praticamente in tutte le culture e sotto tutte le latitudini. Quale è il senso e l’utilità delle favole? I bambini, come evidenziato da B. Bettelheim, hanno bisogno di dare un senso al mondo complesso in cui vivono e, nello stesso tempo, dare ordine e coerenza al loro mondo interno. Quale che sia il personaggio o la storia, il linguaggio fiabesco si adegua al mondo mitico e non realistico del bambino offrendogli delle soluzioni alle difficoltà, agli incubi inconsci aiutandolo ad accettare responsabilità e le sfide della vita. Non a caso un metodo psicanalitico è quello dei giochi di sabbia in cui il bambino viene invitato a posizionare personaggi archetipici ( il re, la principessa, il drago, etc) e a creare delle storie, delle fiabe personali appunto. E per noi adulti?Rileggere una fiaba con l’occhio dell’adulto può paradossalmente rivelarci molto del nostro mondo. Il Pifferaio magico dicevo all’inizio di questo post. Riassumo la storia. C’era un paese abitato da persone piuttosto avare e infestato dai topi che scorrazzavano per tutto il villaggio facendo bisboccia nelle cucine e nelle cantine. Un certo giorno arrivò uno strano personaggio che promise di liberare il paese dai topi a fronte del pagamento di 1000 monete d’oro. Accettata la proposta, il pifferaio estrasse da un sacchetto di cuoio un piffero e cominciò a suonarlo: tutti i topi uscirono dai loro nascondigli e cominciarono a corrergli dietro ammaliati da quella musica che si insinuava nella testa dei ratti promettendo montagne di formaggio e di granaglie. Il pifferaio, seguito da un fiume di topi che si andava sempre più ingrossando, si avviò verso il fiume che costeggiava il villaggio e alla fine entrandovi. Anche i topi entrarono nel fiume irretiti da quella musica e inconsapevoli dei rischi. Il pifferaio continuò a camminare nel fiume fino ad avere l’acqua al collo nel punto in cui la corrente era più forte. A quel punto tutti i topi vennero spazzati via dalla corrente e morirono annegati. Ritornato in paese, pretese il pagamento di quanto pattuito ma il borgomastro si rifiutò di pagare, in questo supportato dai suoi avari concittadini. Il pifferaio, a quel punto, ritirò fuori il suo piffero e ricominciò a suonare una nuova musica che attirava questa volta tutti bambini. La musica “parlava” di montagne di dolci e di divertimenti, di giochi e giostre e di una vita senza scuse e responsabilità. Come era avvenuto per i topi, niente e nessuno sembrava in grado di impedire ai bambini di seguire il pifferaio. Anche i genitori tentarono inutilmente di fermare i bambini. Il pifferaio si avviò verso la montagna dove, al suono del piffero, si aprì una caverna che inghiottì il pifferaio con tutti i bambini. O per meglio dire tutti meno uno. C’era, infatti, nel villaggio un bambino claudicante, che per la sua zoppia non riuscì a stare al passo degli altri bambini e si salvò. Del finale di questa favola esistono diverse versioni: a me personalmente quella che piace di più è quella in cui il bambino “diversamente abile” è capace con una serie di stratagemmi di liberare tutti suoi amici.

Se, come abbiamo visto, le favole hanno la capacità di farci vedere gli aspetti “altri” apparentemente nascosti, allora il pifferaio diventa una figura interessante per l’analisi che possiamo fare della nostra società ai giorni nostri. Chi potrebbe celarsi dietro la figura del pifferaio, forse c’è solo l’imbarazzo della scelta. Ma ci sono alcuni altri aspetti che mi sembra interessante sottolineare. In primo luogo l’associazione topi e bambini nel senso dell’inconsapevolezza: tutti e due si fanno prendere nella rete delle promesse (formaggio e giostre a volontà) seguendo acriticamente le note del pifferaio promettenti un mondo pieno di bisbocce senza responsabilità e doveri. Nessuno di questi, topi e bambini, pensa criticamente o sottopone ad analisi di realtà le promesse contenute nelle note del pifferaio.  Altro aspetto la figura bambino claudicante. È quello che rimane indietro per il suo difetto fisico ma proprio per questo si salva e riesce a salvare tutti altri “inconsapevoli” bambini. C’è in questa figura la metafora e l’elogio della diversità e della mancanza, come ci piace dire oggi, di performance e di capacità di primeggiare. Questo bambino è … “lento” ma la sua lentezza forse è segno di consapevolezza, di quella consapevolezza che diventa il marchio della saggezza e della capacità di identificare anche le possibili via di uscita di quella che altrimenti diventa una situazione estremamente rischiosa. Consapevoli della presenza in giro di qualche pifferaio e di come stia giocando, utilizzandole, le nostre emozioni, le nostre paure e le nostre speranze uccidendole. Forse dovremmo tutti diventare un po “zoppi” e soprattutto consapevoli dei rischi che, “inconsapevolmente” stiamo correndo e non solo metaforicamente verso il fiume come i topi o verso la caverna della montagna come i bambini.

 

 

 

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