Avevo già in precedenza accennato al tema cambiamento, ma siamo a fine anno e vale l pena di aggiungere qualche altra riflessione. È il momento di aggiornare l’agenda, impegni e promesse di dieta e attività fisica per il prossimo anno. Il tutto nella previsione (presunzione?) che tutto filerà via liscio come il solito: il venerdì la partita di calcetto, il week end fuori porta, la sveglia tutte le mattine alla solita ora etc. Non é detto, però, che quanto previsto avverrà realmente come noi l’avevamo immaginato. È molto probabile, invece, che dei cambiamenti nei nostri piani qua e là si verificheranno; perché il cambiamento è l’unica certezza che il futuro ci riserva … il resto è opzionale.
Alcuni potrebbero essere di poco conto, altri molto più penetranti nella carne viva delle nostre vite. Forse sono cambiamenti che noi stessi, a volte inconsapevolmente, abbiamo determinato con piccoli passi, giorno dopo giorno. Altri ci sorprenderanno per la loro repentinità, “come fulmini a ciel sereno”, senza ci fosse alcuna precedente avvisaglia. Cosa vuol dire cambiamento? Questo termine deriva dal greco Cambein che vuol dire piegare, curvare. Dunque cambiamento implica sostanzialmente una nuova direzione, una nuova meta. Generalmente pensiamo che il cambiamento sia un prodotto più che un processo: qualcosa di stabile, una realtà più o meno improvvisa che forza, modificandola, la direzione che stiamo tenendo. Anche se non ce ne rendiamo conto, noi stessi siamo un processo: le cellule della nostra pelle muoiono ogni giorno e vengono sostituite, anche le ossa, che rappresentano quanto di più duraturo abbiamo, ogni 20 anni vengono completamente rimpiazzate, le stesse strutture cerebrali si modificano dandoci una spiegazione di come noi stessi cambiamo idee e convinzioni. Un po’ come colpire una pallina da tennis con una racchetta: ci focalizziamo sulla racchetta, il cambiamento, mentre dovremmo prestare più attenzione al nuovo movimento della pallina, cioè noi. Il focalizzarci su quel “noi”, che rappresenta l’unico elemento su cui possiamo intervenire, è il nocciolo del problema, la chiave di volta per determinare il cambiamento o per trovare nuovi equilibri quando il cambiamento si affaccia nella nostra vita. A ben vedere, infatti, ci sono due tipi di cambiamento: quello che, almeno in una certa misura, noi stessi determiniamo e quello che, invece, ci arriva all’improvviso come “insalutato ospite”. Due tipi perché, come vedremo, diverse le sono le condizioni di partenza.; anche se il percorso nei due tipi sarà in parte comune. Partiamo dal primo.
La percezione della necessità di un cambiamento, consapevole o nascosta nella nostra mente, nasce da una sorta di malessere che può colpire la nostra vita personale o professionale. Possiamo percepirla attraverso messaggi che il corpo ci manda oppure attraverso un’insoddisfazione mal definita o un disagio che sentiamo. Può essere un rapporto affettivo che non funziona più o il lavoro che non risponde più per ruolo per soddisfazione o per remunerazione alle nostre esigenze. Quasi sempre una tale insoddisfazione nasce dalla constatazione di una frattura tra la realtà e le nostre aspettative, dalla percezione che le “cose non vanno come dovrebbero”. Di fronte a questa insoddisfazione possiamo attivare due modalità di risposta: opporre resistenza o prendere atto. La resistenza può avere la faccia della negazione e del rifiuto (la situazione non è poi così disastrosa), o della rassegnazione (ormai a quest’età, a questo punto, etc cosa ci vuoi fare?). Perché è così difficile cambiare? Possiamo identificare alcuni meccanismi che determinano tale difficoltà. Innanzi tutto l’uomo è per istinto conservatore e tende a preferire lo status quo piuttosto che addentrarsi in territori sconosciuti e tende ad essere scettico nei confronti delle novità. Essendo poi un animale sociale ha grande stima per il senso di appartenenza ad un gruppo sociale che si identifica con un certo modo di pensare, per cui prova disagio alla sola idea di poter essere “abbandonato” dal proprio gruppo se attua cambiamenti significativi. Inoltre, spesso, non riesce ad avere una “visione” di sé dopo il cambiamento con perdita del senso di identità (Chi divento se cambio?) e, soprattutto, può non essere certo delle sue capacità. Tutto questo determina il dubbio che lo sforzo del cambiamento sia superiore ai vantaggi prospettati. D’altra parte il cambiamento indica movimento e pensare che ci possa essere movimento senza una qualche forma di frizione e resistenza è pura illusione. Il cambiamento è possibile se la somma di Insoddisfazione (I), Visione futura (V) e Passi (P) nella direzione scelta è superiore alla Resistenza come è stato sintetizzato da Gleicher nella formula: I+ V + P > R. D’altra parte, come sostenuto da Jung, solo accettare la situazione presente può permettere il cambiamento della stessa; in quanto “ciò cui opponi resistenza persiste”. Quale sarà il risultato del cambiamento? Cosa ci porterà? Non è spesso possibile determinare in anticipo cosa succederà e questo è la parte entusiasmante di questo processo. D’altra parte fare le parole crociate con tutte le caselle già riempite non è certo divertente. Tornando alla metafora della pallina da tennis, potrebbe venirne fuori un lungo-linea, oppure un pallonetto o ancora una palla smorzata. Certo il cambiamento comporta dei rischi di fallimento, rischi di rimanere impantanati in mezzo al guado e di non riuscire a portare a buon fine il nostro compito. Esiste però un rischio ancor maggiore ed è quello di non provarci, di rinunciare a provarci. Rischio di non sfruttare tutte le nostre potenzialità nell’ipotesi di un fallimento, lasciando, prima o poi, spazio al rimpianto di non averci provato. Facendo ancora ricorso alla metafora del tennis, non vinceremo mai la partita se abbiamo paura di mandare la pallina fuori dalle righe. D’altra parte “non si può fare una frittata senza rompere le uova”.
Spesso associamo il cambiamento ad una rottura, a una discontinuità totale con il “prima”; a volte potrebbe piuttosto essere un cambiamento solo interno, una diversa maniera di vedere e valutare la realtà. Certo non un adattamento o un appiattirsi ad esso che vuol dire solo un farci andare bene qualcosa che ci provoca disagio; piuttosto una trasformazione che comporti anche l’accettazione degli altri e di sé. E alla fin fine discernere quanto è possibile cambiare da quello che è possibile solo accettare. Nel prossimo post parlerò di cosa succede quando, viceversa, il cambiamento ci viene imposto dalla vita.
… e dato che siamo alla fine dell’anno i miei migliori auguri per il Natale e per il 2019 che esso ci porti la consapevolezza che il cambiamento è “pur con tutti i rischi connessi la legge dell’esistenza” e la certezza che la nostra unica sicurezza è l’abilità di riuscire a cambiare.
“Niente è eterno, solo il cambiamento” (Etty Hillesum)