Durante la missione Apollo 13, che prevedeva la discesa di un modulo lunare, si verificarono una serie di problemi che portarono all’insuccesso della missione stessa e che fece correre all’equipaggio rischi seri. Nel libro scritto dal capo missione e ripreso anche nel film Apollo 13 viene citata la frase che da il titolo a questo post e che è diventato nel tempo una frase che a volte utilizziamo: Houston abbiamo avuto un problema.
Tutti noi nella vita, prima o poi, ci troviamo davanti a dei bivi che ci vengono posti dalla necessità di risolvere un problema; ben sapendo che ciò che sceglieremo condizionerà in modo importante gli anni futuri. Il problema potrà essere la nostra collocazione nella società con la scelta di una professione o di una facoltà universitaria che escluderà, ovviamente, tutte le altre. Spesso il problema nasce da una crisi che impone una scelta drastica come continuare un rapporto affettivo oppure troncarlo. Oppure se accettare e accogliere una gravidanza indesiderata. In genere i bivi “peggiori” sono quelli che ci impongono, come in questi ultimo caso, azioni definitive e da cui non è possibile tornare indietro.
Quel che è certo è che spesso davanti a queste sfide ci troviamo in difficoltà, spesso paralizzati non sapendo “che pesci prendere”. Diventa allora normale attivare quelle che ci sembrano le strategie più razionali. Prendiamo “il” problema e lo sottoponiamo ad una analisi sempre più sottile e dettagliata, in tutte le sue sfaccettature e risvolti. In sostanza ci immergiamo nel problema, quasi fondendoci con esso. Mettiamo in atto tutte le nostre risorse psichiche nella convinzione che sia sempre possibile trovare una soluzione. Siamo profondamente convinti che, da qualche parte, ci sia una soluzione, anzi “la” soluzione che permetta di annullare completamente gli aspetti negativi, mantenendo tutti gli aspetti positivi della nostra scelta. Purtroppo, però, sappiamo contemporaneamente che alcuni problemi sono irrisolvibili, almeno nell’accezione comune del termine. Come dice Jung “non possono non esserlo, perché esprimono la necessaria polarità inerente a ogni sistema di autoregolazione”. In buona sostanza il problema nasce dall’impossibilità di conciliare caratteristiche divergenti di qualche aspetto del nostro mondo interno. E da qui il bivio, la necessità di spostare il baricentro da una parte o dall’altra. Nonostante tutto, il nostro lavoro continua incessante anche se spesso non ci porta la soluzione del problema. Perché l’errore di fondo, comprensibile, è quello di pensare che il problema sia fuori di noi, qualcosa di esterno che ci viene addosso in maniera più o meno improvvisa. Questo ci fa utilizzare delle strategie utili per risolvere un’equazione matematica ma non per affrontare un problema esistenziale. Non solo, ma il fonderci con il problema finisce per con-fonderci.
E allora, anche noi, vorremmo avere un Houston da chiamare che fornisca, come nella vicenda dell’Apollo13, la soluzione del o dei problemi. Ma purtroppo non abbiamo un Houston da chiamare. Ci piacerebbe avere una macchina che ci sputasse fuori in automatico la soluzione da utilizzare in tempo reale, ma tale macchina purtroppo, e per fortuna, non esiste. Purtroppo perché sarebbe in fondo comodo; per fortuna, perché se esistesse ci verrebbe a mancare una delle possibilità che abbiamo di analizzarci in profondità.
Certo, ci possiamo rivolgere a qualcuno che ci aiuti come uno psicoterapeuta ma l’unico aiuto che questi ci può dare è quello di essere specchio, di creare uno spazio privilegiato per fare chiarezza dentro di noi. Non di dare delle soluzioni preconfezionate, che tra l’altro sarebbero la soluzione dello psicoterapeuta e non le mie. Per usare una metafora, è come comprare la settimana enigmistica e trovare i cruciverba già risolti: non c’è nessun “divertimento”.
Se le cose stanno così, è evidente che non esiste alcuno schema fisso: le decisioni corrette possono venire solo dal sapere sempre meglio ciò che siamo e dal calare il problema nella nostra realtà profonda. Non a caso Hillmann usava la metafora del daimon, sorta di angelo custode o di guida interiore che continuamente ci ricorda il senso della nostra vita, aiutandoci nelle nostre scelte.
E’ tutto molto semplice, … ma non sempre le cose semplici sono anche facili.
Possiamo utilizzare, a tal fine, qualunque mezzo che ci aiuti a conoscerci, a scoprire chi veramente siamo. Per qualcuno può essere una ricerca religiosa, per altri l’utilizzare un percorso di tipo psicologico, per altri ancora tecniche, come la Mindfulness o le tecniche di meditazione orientale, capaci di “attraversare il” problema mettendolo in contatto con la parte più profonda di noi stessi.
La cosa interessante è che molti “vie” citate hanno delle caratteristiche comuni. Se prendiamo i mistici cristiani dei primi secoli come Evraigo Pontico, del 13° secolo come Taulero e Meister Eckart, gli insegnamenti del Buddismo o la Mindfulness vediamo, forse con parole diverse ma dallo stesso significato, tutte siano caratterizzate dalla necessità del distacco, da quella presa di distanza che ci permette di vedere le cose in prospettiva. La prospettiva non è altro che il testare la realtà in base a chi io sia veramente.
Dice Joko Beck, maestra di meditazione buddista, nel suoi libro “Zen quotidiano” “Immaginiamo di dire a Madre Teresa: Lascia perdere Calcutta e vieni a San Francisco. C’è una buona vita notturna, ottimi ristoranti e il clima è decisamente migliore”. Ma che cosa la farà decidere? Cosa la fece decidere di vivere nella parte più infernale di Calcutta? Da dove è nata questa risoluzione? “Un uomo è così come pensa nel suo cuore”. Probabilmente Madre Teresa userebbe la parola ‘preghiera’: l’essere con se stessa che non le fa vedere la sua vita e la sua opera come un problema, ma come una decisione.”
Se un problema ci sembra irrisolvibile, forse non sappiamo in realtà chi siamo.
“Non c’è ricetta di vita che vada bene per tutti”. (C. Jung)
“… se così sento nel mio cuore, se questo è come sono e come la mia vita vuole esprimersi, allora i problemi sono finiti.” (J Beck)