Nella vita di ciascuno ci sono sempre dei momenti in cui è necessario fermarsi. Fermarsi per fare il punto, vedere se siamo realmente convinti di quello che stiamo facendo, considerare se quello che abbiamo intrapreso ci sta portando proprio a quel risultato che desideriamo. Sono momenti importanti in cui mettiamo “in crisi” il nostro percorso personale. E’ interessante notare che crisi deriva dalla parola greca “krino” che vuol dire separare e per estensione scegliere. Anche l’ideogramma cinese ci da un’ulteriore chiave di lettura: esso infatti è formato da due segni che indicano difficoltà, problema e l’altro opportunità. Tralascio le discussioni sull’interpretazione dell’ideogramma cinese vera per alcuni e falsa per altri; anche se sembra reale (fidatevi…) nell’equivalente giapponese. Comunque sia, essere in crisi o mettere in crisi vuol dire scegliere separando una cosa da un’altra. Caratteristica importante dei momenti di crisi è che quasi sempre la scelta presuppone il lasciare completamente da parte una delle alternative e che la crisi sarà tanto più profonda quanto più diverse e antitetiche saranno le alternative, proprio per la inevitabile scarto di una alternativa.
Così un bel giorno cominciamo a sentire un malessere un disagio, cui non siamo in grado di dare un nome o un oggetto.E in genere i malesseri e i disagi che avvertiamo nei periodi di crisi sono proprio il segnale che il nostro cervello ci manda per avvertirci che le cose non stanno andando o non sono come ce le aspettavamo o come le vogliamo. Piano piano però la nebbia comincia a diradarsi e siamo sempre più in grado di vedere la ragione del nostro malessere. Cominciamo a capire a cosa dobbiamo fare manutenzione: che sia la vita di coppia, il nostro schema di valori, il nostro credo religioso. Sono momenti importanti di crescita dato che ci costringono in un certo senso a scegliere tra le opzioni dopo averle vagliate. Dobbiamo fermarci e cominciare un lavoro di analisi che ci permetta di verificare la situazione che abbiamo davanti, approfondire i vari aspetti del problema, valutare le diverse opzioni di soluzione e, infine, metterle in atto. E’ importante seguire lo schema precedente perché altrimenti si rischia di trovare le soluzioni per un problema senza averlo prima chiarito. Ci sono poi le crisi, forse le più pesanti, che avvengono quando la nostra vita, il nostro futuro vengono attraversati improvvisamente da un episodio che ci costringe a ripensare in modo profondo alle nostre priorità, ai nostri progetti. Parliamo di malattie gravi, o di eventi naturali come un terremoto che spazza via in un attimo la nostra vita, il nostro lavoro e i nostri sogni. I periodi di crisi vanno visti come momenti difficili, forse dolorosi ma certamente capaci di farci passare ad un livello superiore di comprensione e di consapevolezza. Livello che sicuramente sarà figlio di quello precedente, ma anche molto diverso e soprattutto non prevedibile. Dunque momento proficuo e difficile, ma anche entusiasmante per l’avventura che ci troviamo davanti. Delle crisi non dobbiamo aver paura, dobbiamo piuttosto temere la stasi, l’immobilismo determinato dalla paura dei cambiamenti.
Ma non sono solo gli individui a entrare in crisi, ci sono anche le organizzazioni e le strutture complesse come le società.
Anche la nostra società ha bisogno, mi sembra, di un po’ di manutenzione che non sia un semplice abbellimento: situazione economica disastrosa con un sempre maggior divario tra individui e tra paesi, il malessere palesato dall’aumento in molti paesi del tasso di suicidi, una generazione intera senza futuro, una lotta politica sempre più urlata, di basso livello, centrata solo sui risultati a breve senza nessuna visione di un futuro che sia più in là delle prossime elezioni. Non sono un politologo né un sociologo ma, da semplice soggetto pensante, ho l’idea che sia entrata in una crisi profonda il nostro modello di società, il modello che ci ha accompagnato negli ultimi decenni. Crisi che non è una semplice crisi di crescenza, ma una crisi che mina alla base i presupposti su cui si basa. Quella che è entrata in crisi non è la realizzazione di un progetto ma la struttura stessa della società. Di fronte a questa crisi, a livello mondiale, la risposta prevalente è quella di utilizzare slogan ad effetto tipo America First che nascondono una impressionante incapacità di vedere quello che è sotto gli occhi di tutti o, forse ed è anche peggio, voler nascondere la realtà e la complessità dei problemi sperando che non venga fuori il bambino della favola che grida “il re è nudo” Oppure figure come Duterte presidente delle Filippine che propone gli squadroni della morte e il carcere per i bambini di 9 anni per bloccare il narcotraffico.
La globalizzazione, che sembrava essere l’alba di un nuovo e più felice giorno, si è dimostrata alla fine un meccanismo spesso distorsivo dei rapporti sociali ed economici. Sarebbe sufficiente notare che gli spostamenti di denaro sui mercati valutari in un giorno corrispondono al PIL dell’intero pianeta in un anno. Il tutto è esacerbato dalla velocità che ormai pervade tutto il nostro mondo: mail, transazioni economiche, contatti tra le persone, avvengono tutte in tempo reale. Basta mettere un post su FB che, nel giro di una frazione di secondo, ci leggono anche in Australia. E’ facile intuire quanto questa immediatezza modifichi anche la nostra percezione, obbligandoci a una nuova e distorta percezione del tempo.
Ma veniamo al nostro orticello di casa.
Il nostro paese, qualunque cosa si possa pensare, è ai “margini dell’impero”, siamo ormai una provincia decentrata come era la Gallia ai tempi di Giulio Cesare. E’ vero, siamo inseriti in una realtà, come quella europea, che, nel bene e nel male, condiziona profondamente i nostri margini di manovra; ma al suo interno facciamo parte dei PIGS ( letteralmente porci insieme a Portogallo, Spagna, Grecia) termine che unisce i paesi non virtuosi e con i conti non in ordine. Non siamo neppure nella condizione di sperare in un colpo ad effetto come quello di Davide contro Golia. O meglio lo potremmo sperare se avessimo una classe dirigente (politica, imprenditoriale, etc) capace di visione e di mettere mano alla gravità della situazione. Stiamo invece, probabilmente, scrivendo una delle pagine più sconfortanti della nostra storia. Giornalisti che, per il gusto dello sberleffo e di qualche copia venduta in più, la sparano grossa in prima pagina non disdegnando l’uso triviale offerto dal doppio senso. Giornali che sempre più, ma è un problema non solo nostro, sono l’artiglieria pensante di gruppi di potere da utilizzare nello scontro economico. Giornali e giornaletti che non fanno altro che spingere lettori delusi verso il mitico “regno virginale” del web; come se anche questo non fosse utilizzato, spesso in modo nascosto e falso, come i giornali a grande tiratura. Politici che parlano alla pancia di persone sempre più … arrabbiate e alla disperata ricerca dell’Uomo, o Omino come ha intitolato l’Espresso, Forte. Politici incapaci di visione o di un progetto articolato, che propongono soluzioni semplici per problemi complessi utilizzando la fascinazione dell’insulto e della svalutazione dell’avversario politico come mezzo da utilizzare a piene mani nell’agone politico. Folle adoranti l’omino di turno che spera di vincere le elezioni proponendo una discussione sulla rete su cosa si farebbe di notte con l’avversario di turno (donna ovviamente…) o la proposta di non salvare le migliaia di persone che, disperate, in pieno inverno affrontano il mediterraneo, come se fossero lì in gita di piacere. Questi aspetti da “basso impero” temo stiano attivando delle valanghe che rischiano di travolgere tutto e tutti. Vedo in giro troppi apprendisti stregoni che volenti o nolenti stanno mettendo in moto delle forze che non si sa se saranno in grado di controllare e gestire.
Beh, ce n’è abbastanza per ritenere che la nostra società abbia bisogno di un tagliando; non quello dei 1000 km ma quello che fanno gli aerei dopo molte ore di volo quando vengono completamente smontati e rimontati.
E, tornando al titolo del post, domandarci cosa vogliamo farne di questa società. Decidere dove vogliamo andare prima di sapere come vogliamo arrivarci. Forse sarebbe il caso di fermarci un momento a ragionare non con la pancia ma con il cervello. Utilizzare il già citato di Frankl “spazio che sta tra lo stimolo e la risposta, là dove sta il nostro successo e il nostro benessere”.
“Che epoca terribile quella in cui degli idioti governano dei ciechi” (W. Shakespeare)