Pratica Medica

Potrebbe sembrare strano, all’interno di un sito che si occupa di mindfulness, trovare una sezione dal titolo “pratica medica”. A ben vedere, però, questa sezione è continuazione e approfondimento di quanto svolto nella sezione “Stress e Burnout” in cui parlavo di stress lavoro correlato. Rimando a questa per gli aspetti scientifici e soprattutto “come e perché funziona”.

Prima di addentraci nell’esame dei risultati delle varie ricerche, può essere utile evidenziare alcuni aspetti importanti per inquadrare gli interventi basati sulla M in ambiente medico. 

Una prima domanda è “perché si si è sentita la necessità di utilizzare la M nelle pratiche sanitarie?“

Una prima risposta va cercata nei cambiamenti cui la nostra società è andata incontro e di cui abbiamo già parlato nella sezione stress lavoro correlato e a cui rimando. All’interno di questi cambiamenti, inoltre, la relazione medico/paziente si è profondamente modificata proprio perché è cambiato lo scenario in cui questa avviene. Va detto per inciso che questi profondi cambiamenti non sono esclusivo appannaggio del nostro paese ma sono comuni a tutta la società occidentale.

Vediamone alcuni.

“ Il dottore la vedrà presto, ma non posso prometterle che le parlerà, ….solo che la vedrà”.

 

  • Il paziente non è più un soggetto passivo che ha un rapporto di dipendenza con il suo medico; piuttosto una persona autonoma che pretende veder riconosciuta la sua autonomia anche e soprattutto nella relazione che ha con il proprio medico.
  • Un secondo aspetto da considerare è quello concernente gli aspetti psicologici della relazione tra medico e paziente. Quest’ultimo, sempre di più, considera come essenziale la profondità psicologica della relazione; relazione in cui tali aspetti non possono essere in alcun modo essere subordinati al “fatto tecnico”. E’ interessante notare, infatti, come una ricerca del Censis abbia evidenziato che gli aspetti psicologici sono predominanti nella valutazione che il paziente da del proprio medico.
 

Direi che ce n’è abbastanza per mettere in crisi una relazione.

Dunque richieste emergenti e difficoltà crescenti del medico di soddisfare le richieste di un paziente visto sempre più come un nemico, sempre pronto ad una azione legale. Questo in uno scenario in cui si assiste ad aspettative irragionevoli di una medicina capace di guarire sempre e comunque tutto, e dove il concetto di guarigione corrisponde ad un ritorno totale e completo ad una situazione di benessere.

Se sommiamo gli aspetti sociali di questi ultimi anni con quello che abbiamo detto a proposito dei cambiamenti della relazione medico/paziente è evidente che il Burnout e più in generale lo stress lavoro correlato siano non solo possibili ma anche probabili con inevitabili elevati costi personali e sociali.

Gli effetti della Mindfulness sul funzionamento cerebrale, sull’accettazione del “qui e ora”, sulla maggiore empatia e presenza psicologica all’interno di qualunque relazione personale e sulla gestione dello stress che si verificano nel percorso MBSR e di cui abbiamo già parlato, ha indotto a proporre percorsi di crescita personale basati su questa tecnica al personale di assistenza sanitaria, medici e infermieri. Dunque, al protocollo “classico” della MBSR sono state aggiunti diversi momenti formativi tesi a migliorare le competenze comunicative dell’operatore sanitario, con introduzione di tecniche utilizzate da anni nella formazione manageriale come role-plying, simulazioni, teatro interattivo, etc. Si tratta di esperienze, fatte soprattutto in ambiente anglosassone, per aiutare medici e infermieri da una parte a gestire, migliorandolo, la comunicazione ed il rapporto paziente-operatore sanitario; dall’altra ad affrontare lo stress e la sofferenza che una relazione impegnativa come quella con il malato determina, riducendo i rischi del burnout.

Sintetizzando, questi i risultati che possiamo aspettarci da un protocollo così come lo abbiamo tratteggiato

  • Maggiore consapevolezza del proprio perfezionismo, ed eccessiva autocritica
  • Maggiore capacità di attenzione ai bisogni ed emozioni del paziente
  • Maggiore equilibrio tra esigenze lavorative e vita personale con frequente riduzione del numero totale di ore lavorate
  • Maggiore soddisfazione nelle attività di svago
  • Maggiore capacità di cercare supporto e aiuto all’interno del gruppo (Anche se la MBMP non è né vuole essere una terapia di gruppo)

Un aspetto particolare è quello relativo al rapporto costo/beneficio per il sistema “sanitario” dei protocolli MBMP. Due lavori scientifici pubblicati negli ultimi anni ( Luchtelhand, Linzer) sono degni di interesse dato che la valutazione è stata fatta proprio da un punto di vista economico. Il lavoro di Linzer ha evidanziato come i protocolli Mindifulness sono capaci di ridurre il rischio di Burnout  e dunque di ridurre la spesa legata a questa sindrome soprattutto in termine di soddisfazione del “cliente“, riduzione del tasso di assenteismo lavorativo e di malattia del personale medico. Nel lavoro di Luchtelhand viene riportata l’esperienza dell’Università del Winsconsin che hanno introdotto protocolli MBMP che coinvolgevano anche l’utenza di diversi ospedali. In questa esperienza si è dimostrato un buon rapporto costo/beneficio, con aumento di soddisfazione dell’utenza, riduzione del contenzioso medico-legale, e miglioramento del benessere percepito da parte degli operati sanitari. 

Nella tabella ho sintetizzato in una tabella le università, la durata dei corsi e da quando vengono svolti corsi di Mindfulness. Come è possibile vedere, esiste una certa variabilità dell’offerta formativa in termine di durata dei corsi che variano dalle 4/8 settimane fino alle 10 settimane. Altro aspetto è quello relativo al momento in cui vengono proposti corsi di Mindfulness e/o di MBMP a cui si associano attività teorico/pratiche sulla comunicazione, sulla formazione “spirituale” dei medici in formazione e di “filosofia della medicina “. In alcuni casi vengono introdotti al 1° anno del corso di medicina, in altri al 2 e 4 anno. Spesso, come si vede, sono proposti anche a laureati in medicina o addirittura a studenti in legge come alla Georgetown University. Sono, inoltre, previsti seminari monotematici a cui vengono invitati a partecipare anche i partner come mogli e fidanzate.

Da tutto quello che abbiamo sottolineato emerge da una parte una progressiva sensibilità da parte di molti operatori sanitari ad approfondire le tematiche psicologiche della nostra professione, le tecniche che possano permettere una migliore e meno conflittuale comunicazione con il paziente, dall’altra una sempre maggiore offerta  formativa, almeno nei paesi anglosassoni, di percorsi di formazione che permettano all’operatore sanitario di integrare la sua formazione tecnica con gli aspetti più profondi e relazionali  della professione.

In sostanza, permettere che operatore sanitario e paziente possano realmente vivere una relazione dove essere veramente una squadra.

A quando in italia? Speriamo presto.